ECCO COSA VIDE PERUGINO. Sensazionale scoperta nelle Cripte della Cattedrale: un inedito ciclo attri
- Il Moggio
- 1 set 2017
- Tempo di lettura: 6 min

Dal rifacimento del pavimento della cattedrale in poi, molto si è parlato di ciò che c'era "prima" a Città della Pieve. Una indagine storico-artistica raffinata e misteriosa ha portato Don Aldo Gattobigio a circondarsi di storici, storici dell'arte e restauratori per capire e dare fisionomia più definita alle nostre radici.
Il lavoro e la lungimiranza oggi sono premiate!
L'intervento messo in atto in contemporanea ai restauri volti al recupero delle preziose strutture architettoniche altomedioevali originali dell’antica chiesa pievana, diretti dal ing. Michele Verdi e dell’Arch. Alfonso del Buono, sotto l’alta sorveglianza della Soprintendenza AA.AA.AA.P. dell’Umbria, è stato quello del restauro delle pitture murali -
con i finanziamenti della Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia e dal Capitolo della Cattedrale di Città della Pieve. Il restauro, eseguito della ditta del restauratore Marcello Castrichini di Todi, autore anche di tutti i precedenti, dalla antica facciata lapidea, alle decorazioni interne del Duomo, fino alle due tavole del Perugino, sotto l’alta sorveglianza della Soprintendenza AA.AA.AA.P. dell’Umbria, ha messo in luce novità preziose e di rilievo per la storia dell'arte.
Già nella presentazione dei lavori che Luca Marchegiani, responsabile della Delegazione FAI del Trasimeno, aveva illustrato si era potuto capire la preziosità della fattura dei lacerti di affresco e il loro valore storico-artistico; dopo la visita della Soprintendenza di alcuni giorni fa e le interviste uscite in esclusiva al TG Regionale, la scoperta è ufficiale.
Una grande scoperta per la storia dell’arte e per l’ambiente strettamente legato all’artista Benozzo Gozzoli, uno dei massimi esponenti del Rinascimento italiano, resa possibile attraverso il recupero di pochi e sparsi frammenti, prima del recente restauro lacerti quasi illeggibili, che sono sopravvissuti alla distruzione della Pieve romanica seguita al rifacimento del nuovo duomo nel sec. XVII. L’attribuzione allo stile ed alla tecnica di Benozzo Gozzoli è proposta dallo storico dell’arte Luca Castrichini che, rielaborando e seguendo indizi dello storico pievese Luca Marchegiani che vedeva in queste decorazioni grandi influenze fiorentine, in una serie di decorazioni ha immediatamente riconosciuto il modus operandi del pittore. Approfondendo poi gli studi, lo storico, ha preso atto che ogni frammento di pittura decorativa, anche il più piccolo, e soprattutto i pochi tondi con all’interno figure e scene come La cacciata dal Paradiso terrestre; di una bellezza unica quasi miniaturistica, nel quale si riconosce già l’arte e la nuova luce di Masaccio; o la Santa Cristina da Bolsena o un terzo, la cui abrasione ne rende difficile l’individuazione (Lorenzo, Leonardo?) sono tutti ascrivibili alla maniera gozzoliana e ai suoi prototipi fisionomici. Inequivocabile l’utilizzo in questo cantiere di un modello identico ereditato da un precedente esito del pittore in quell’impresa dove era collaboratore, ben pagato, del Beato Angelico. Infatti la decorazione tripartita, con fasce verde di alloro al centro, scure a sinistra e amaranto a destra, con fiori appena sbocciati, chiusi o completamente aperti, è opera di un medesimo cartone che Gozzoli ha proposto nei costoloni della cappella di San Brizio ad Orvieto e, successivamente, con varianti anche nella cappella Nicolina a Roma, che farebbe datare gli affreschi di Città della Pieve (in origine era un vero e proprio ciclo nel quale si declinava tutto il campionario decorativo che Gozzoli fece prima e dopo Orvieto, sia a Montefalco, sia in San Agostino a San Gimignano) a quel periodo, 1449 ca. Più precisamente l’opera in questione può datarsi in quegli anni, nel periodo successivo alla chiusura del cantiere di Orvieto, dove risulta dai documentati, aver avuto nell’imnmediato scarsi impegni di lavoro. Seppure ci troviamo di fronte a pochi frammenti (nell’ambiente interno una base di qualche decina di centimetri in altezza di un grande affresco con porzioni architettoniche e pannelli in marmo e un frammento con sinopia rossa, etc, molti sono ancora da studiare) colpisce la qualità di alcuni dettagli che miracolosamente sono giunti fino a noi. Tra questi il brano con un prato che, malgrado, la perdita dell’intera declinazione dei colori verdi di finitura a tempera delle erbe e dei fiori, rimane soltanto la loro impronta, sembra un tratto distintivo del Gozzoli; ne troviamo numerosissimi esempi a partire dalla Madonna della Cintola di Montefalco oggi ai Vaticani, per arrivare a quell’incantevole repertorio botanico che fa da tappeto al corteo nella Cappella Magi a Palazzo Medici-Riccardi a Firenze. Di questo ciclo sopravvive anche un altro frammento, molto interessante, che non è che la parte superiore dell’intradosso da dove partono oggi questi affreschi ritrovati e restaurati Questo angusto piccolo antro che oggi si trova ad un piano superiore, relegato in un corridoio secondario e non accessibile, è la parte superiore di un parato murario (forse in origine la facciata della struttura architettonica originale), in origine dipinto (tracce di sinopia resistono) caratterizzato da un grande arco. In pochi centimetri di superficie troviamo due porzioni di tondi con all’interno due sante: S. Maria Maddalena a sinistra e santa con velo e palma fiorita (santa Filomena?) uniti da una decorazione a girali con fiori e boccioli ed angeli monocromi, di grandissima qualità. Anche questa soluzione Benozzo Gozzoli ripropone continuamente nei suoi cicli. Anche se le due sante mostrano le caratteristiche peculiari dell’arte del toscano nell’esecuzione dei volti e in particolare negli occhi, nella bocca e nel suo modo luministico; inparticolare la santa a destra, con i fiori, sembra il modello del volto della Madonna dello scogli, di Calci, oggiin deposito mel museo civico di Pisa.Lo studio stilistico e tecnico proposto da Luca Castrichini proseguirà e gli esiti saranno a breve pubblicati. L’importanza della scoperta non può passare inosservata, tanto meno allo Storico dell’arte Luca Marchegiani, Pievese, impegnato costamentemente per la valorizzazione del patrimonio della sua città cheaggiunge:Il ritrovamento di importanti porzioni di affreschi, nelle cripte del Duomo dei Santi Gervasio e Protasio,offre una occasione unica per Città della Pieve ma con una valenza che va ben oltre la città. Si tratta di una delle rarissime tracce di pittura riconducibili al XV secolo superstiti, che denotano lapresenza di importanti artisti toscani in città.Il ritrovamento ha ancora più valore per il fatto che nel corso dei secoli con i lavori di ristrutturazione dimolte chiese cittadine si sono perse grandissima parte del patrimonio artistico precedente al XVI,conserviamo solo alcuni importanti affreschi di scuola senese del XIV. Quelle denominate come le cripte, sono la meglio conservata struttura gotica cittadina e moltoprobabilmente insieme ad alcune porzioni delle mura perimetrali, ed alcuni frammenti lapidei, le uniche parti superstiti dell'antica pieve gotico-romanica, demolita per fare spazio all'ampliamento della chiesa moderna. Purtroppo in un incendio dei primi anni del XVIII secolo che ha colpito l'archivio diocesano di Chiusi, cihanno fatto perdere importantissimi documenti per ricostruire storia e architettura della Pieve-Collegiataprecedente al XVI secolo.Ciò che si può evincere di come questa fosse, uno spazio loggiato aperto verso l'esterno, con una coperturaa volte costolonate completamente rivestito di preziosi affreschi sia all'interno, che nelle facciate esterne eaddossato alla parete posteriore della Pieve di cui potrebbe essere stato parte integrante, successivamenteforse trasformato nella chiesa di Sant'Agata di cui più fonti parlano.Occasione straordinaria, il restauro che negli ultimi anni ha subito il Duomo dei Santi Gervasio e Protasio,che adesso dovrebbe dare vita ad estesi studi e ricognizioni.Quelle che noi conosciamo come le cripte del Duomo, di cui si demolirono le volte, per fare spazio alpresbiterio e il coro della chiesa, per anni rimase celata ai più, vi si poteva accedere da una porta postasotto la torre campanaria e solo dopo i recenti restauri è stato aperto un collegamento con il Duomo dalla cappella di destra del transetto. Le tracce più consistenti di affreschi sono rinvenuti in alcuni pilastri, in origine erano visibili solo alcune parti con Adamo ed Eva, alcuni Santi ed una decorazione architettonica. La rimozione parziale di alcuni masselli murari, che la celavano, hanno riportato alla luce una bellissima edintegra decorazione vegetale di un arco e nei pilastri altre a commessi marmoree finemente eseguite, edalla demolizione di un altro massello che ha unito due ambienti prima separati ha evidenziato un' altra porzione di affreschi che denotano già una rappresentazione prospettico-geometrica e lesene con pilastri dichiaro richiamo classicheggiante, con raffinati dettagli di cui rimane solo il disegno preparatorio di unbellissimo prato fiorito, di gusto miniaturista che fanno chiaramente pensare ad un artista del primoquattrocento che guarda a Beato Angelico.Il riferimento al riquadro con il peccato originale dopo la ripulitura riporta in evidenza le due figure conAdamo ed Eva, una Eva con un corpo dalle linee piuttosto mascoline che rimanda anche negli atteggiamentia quello della Cappella Brancacci di Masaccio. Esegue questi affreschi un importante artista fiorentino, che aveva lavorato al cantiere della Cappella di San Brizio in Orvieto, di cui Luca Castrichini ha ritrovato i cartoni e la cui qualità esecutiva induce aconfermare la prima intuizione e a ricondurli a Benozzo Gozzoli che potrebbe proprio essere l'esecutoredegli affreschi di Città della Pieve. Una lezione fondamentale quella di Gozzoli che insieme a Beato Angelico, Filippo Lippi, in seguito ad Agostino di Duccio saranno fondamentali per la formazione della generazione degli artisti rinascimentaliumbri precedenti al Perugino da Benedetto Bonfigli in poi. Riscoprire questi affreschi, poter proseguire nei lavori, riportare alla luce le notevoli porzioni di quelli celati,potrebbe fornirci informazioni fondamentali anche per riscrivere la storia del Perugino in quei primi anni diattività che rimangono ancora per lo più oscuri, capire, quale fosse l'ambiente culturale che si respiravanella Castel della Pieve in cui muoveva i primi passi, potrebbero essere tasselli importantissimi, una grandescommessa per Città della Pieve e non solo.